La Banca Centrale Europea alla sfida dei tassi, tra attese di inflazione e recessione

Mai prima d’ora dalla nascita della moneta unica l’inflazione aveva raggiunto in Europa i livelli attuali dell’8,6% su base annuale. 

 

L’80% dei panieri che l’Eurostat – l’ufficio statistico dell’Unione Europea - utilizza per il calcolo dell’inflazione ha visto aumenti superiori all’obiettivo di inflazione della Banca Centrale Europea, pari al 2%. Tra le componenti che hanno maggiormente contribuito al balzo dei prezzi figura il costo del cibo, che ha registrato un incremento del 9%, e ovviamente l’energia, i cui prezzi sono aumentati del 42% su base annuale e ai cui rincari è riconducibile il 53% dell’aumento dell’inflazione.

 

L’incidenza della componente energetica sull’aumento dell’inflazione calerà per l’effetto base nel prossimo trimestre, quando il prezzo dell’energia si confronterà con quello dello stesso periodo dello scorso anno, quando aveva già iniziato a crescere: potremmo quindi assistere a una lieve flessione dell’inflazione che ci aspettiamo resti comunque sostenuta. 

 

Dall’inizio della guerra in Ucraina l’accelerazione dei prezzi dell’energia è stata accompagnata dalla riduzione delle forniture di gas, commodity che ha visto il proprio prezzo triplicare nell’ultimo anno, passando da 45 euro per MWH a 154 euro per MGW (Fonte: Bloomberg). 

 

Lo spettro del razionamento energetico nella prossima stagione invernale è ormai una delle principali preoccupazioni di investitori e politici per il potenziale impatto negativo sulla crescita economica. La stessa Commissione Europea ha dichiarato ieri che uno eventuale stop alle forniture di gas determinerebbe una diminuzione del Prodotto Interno Lordo europeo dell’1%. Le scorte di gas attuali sarebbero, infatti, appena sufficienti a coprire la domanda per 1 mese e mezzo, considerando il consumo medio nel periodo invernale in Europa.

 

Anche alla luce di questo rischio, la Commissione Europea la settimana scorsa ha rivisto al ribasso le stime di crescita per l’area euro al 2,6% in termini reali per il 2022 e all’1,4% per il 2023. 

 

A nostro avviso, i fattori principali che determineranno un rallentamento della crescita saranno tre: 

  • l’erosione del potere di acquisto dei consumatori non compensato da un aumento dei salari;
  • l’aumento dei costi di produzione che eroderanno i margini delle aziende, le quali gradualmente avranno maggiori difficoltà nel trasferire tale aumento sui prezzi finali;
  • un eventuale razionamento energetico che potrebbe avere un impatto immediato sulla produzione di settori che da questa maggiormente dipendono come quello industriale, chimico e delle costruzioni.

I prezzi energetici sono quindi al centro sia della dinamica inflattiva che di quella di crescita e purtroppo non sono una variabile influenzabile tramite politiche monetarie. Questo pone ulteriore pressione sulla Banca Centrale Europea che giovedì 21 luglio dovrebbe annunciare il primo rialzo dei tassi degli ultimi 11 anni. 

 

La sfida della Banca Centrale Europea sarà di riportare l’inflazione a livelli in linea con l’obiettivo del 2%, nonostante questa non dipenda direttamente dalla domanda di beni da parte dei consumatori (che non aumentano in termini reali già da due trimestri) e allo stesso tempo di evitare che l’allargamento degli spreads sui bond governativi dei Paesi periferici possa ridurre l’efficacia della politica monetaria e costituirne un freno. 

 

Il mercato ad oggi sconta la probabilità di recessione che si riflette nell’andamento dei tassi nominali dei bund a 10 anni in calo dai massimi di due mesi fa e passati da 1,80 al 15 giugno ai 1,27 di ieri, mentre i bund a due anni sono quasi dimezzati da 1,20 a 0,70.

 

Questo andamento evidenzia come il mercato si aspetti incrementi dei tassi complessivamente meno significativi alla luce dell’aumento delle probabilità di recessione che renderebbe più complesso per la Banca Centrale Europea proseguire nella traiettoria di rialzo inizialmente ipotizzata. Il mercato un mese fa si aspettava, infatti, tassi superiori al 2% a 12 mesi e un successivo calo a 2 anni, mentre oggi ha tolto dall’equazione circa 50 bp di rialzo anticipando il taglio a un anno.

 

Le ultime indicazioni trasmesse da fonti della Banca Centrale Europea segnalano che domani potremmo assistere ad un aumento di 50 bp rispetto ai 25 inizialmente stimati. Vedremo. 

 

In ogni caso, se la recessione dovesse concretizzarsi, potremmo presto tornare nella “trappola dei tassi” che ha imprigionato l’Europa negli ultimi anni, ovvero uno scenario in cui è particolarmente difficile attuare una politica di rialzo dei tassi.

 

In questo scenario assisteremmo ad una nuova discesa dei tassi nominali e ad una riduzione degli spread, sia governativi che corporate, finora penalizzati dalle preoccupazioni per le attese di crescita dei tassi che hanno sostenuto la volatilità del mercato obbligazionario.

 

In questo contesto, ci aspettiamo che il credito investment grade di società solide e non cicliche possano rappresentare un’opportunità nel medio termine. Anche il credito High Yield potrà offrire selezionate opportunità, ma in tale ambito sarà ancora più cruciale la capacità di identificare le società penalizzate dalle dinamiche di mercato descritte piuttosto che da situazioni contingenti. 

 

 

 

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