Nella testa del Drago: alla ricerca delle opportunità (non) perdute in Cina

Plenisfer Investments SGR

 

La narrativa sulla Cina, entrata nell’anno del Drago, rappresenta oggi il Paese alternativamente come un gigante destinato a conquistare il mondo, o come un apparato economico insostenibile entrato in un declino terminale e destinato a un rapido collasso.

In Plenisfer la vediamo diversamente. Pensiamo che occorra “entrare nella testa del Drago” ovvero analizzare le dinamiche in atto nel Paese, consapevoli che in Cina non è più possibile investire con l’approccio del passato. Guardiamo al futuro, convinti che la domanda da porsi oggi sia fondamentalmente una: investire in Cina, sì o no?

La nostra risposta è sì, perché in Cina si possono trovare opportunità irripetibili, ma "da maneggiare con cura".

 

Cosa non dobbiamo dimenticare sulla Cina?

È importante ricordare che la Cina ospita ancora un terzo della capacità manifatturiera mondiale, genera il 18% del PIL globale, conta il 16% di tutte le società quotate e il 20% della capitalizzazione complessiva dei mercati*°. È la seconda economia del mondo, secondo la maggior parte delle metriche, ma sta affrontando seri problemi.

Da una prospettiva macroeconomica, gli indici azionari sembrano convenienti: il CSI300 Index è scambiato a 11,3 volte il P/E previsto per il 2024* e l'Hang Seng Index a 8,2 volte, multiplo che si confronta con 21,3 volte di S&P500*.

Ma questa è un'ovvietà. Immagina di essere un investitore a lungo termine nel 2001 e di avere $1000 da investire in azioni indiane o cinesi. Se all’epoca avessi saputo che nei due decenni successivi l'economia dell'India sarebbe cresciuta di 8 volte, ma quella della Cina sarebbe cresciuta di quasi 15 volte, su quale Paese avresti puntato?

$1000 investiti nel principale indice indiano nel 2001 varrebbero oltre $14.000 oggi (con dividendi reinvestiti). La stessa somma messa in un equivalente cinese varrebbe meno di un terzo. Questo è solo in parte il risultato della contrazione degli ultimi tre anni (-40% dal picco del CSI300 nel febbraio del 2021)*[1]. In breve: la storia ci dice che investire passivamente in Cina non funziona, e che la qualità delle aziende negli indici è molto eterogenea.

 

I listini cinesi: una struttura mediocre

I listini cinesi hanno una struttura di bassa qualità. Perché? Principalmente perché gli indici cinesi hanno da tempo sovrappesato società caratterizzate da scarsa qualità e governance, a valutazioni che erano alte rispetto alla bontà del business. Questo è qualcosa che semplici metriche P/E non catturano. Ci sono molte opportunità in Cina, ma solo se si fa il lavoro di ricerca per capire dove si trova il valore. In un momento in cui molti investitori internazionali hanno rinunciato alla Cina, le condizioni sono favorevoli per coloro che sono ancora disposti a fare il lavoro.

 

Lo scenario “orso”…

Ci sono principalmente tre cose di cui preoccuparsi:

 - In primo luogo, il vecchio modello di crescita della Cina, trainato da forti esportazioni, repressione finanziaria, intensa competizione tra i governi locali e facili guadagni di produttività, ha smesso di funzionare, ed è poco chiaro cosa possa prenderne il posto.

 - In secondo luogo, il deterioramento delle relazioni estere della Cina, specialmente rispetto agli Stati Uniti, è diventato irreversibile. Anche gli intellettuali e i politici cinesi moderati si sono convinti che gli Stati Uniti non accetteranno mai, pacificamente o meno, una Cina in ascesa. Questo crea enormi costi economici, poiché le politiche isolazioniste da entrambe le parti si alimentano reciprocamente.

 - In terzo luogo, dopo un decennio di intensa centralizzazione del potere, molti si interrogano sulla capacità di Pechino di correggere rapidamente gli errori di politica per garantire la stabilità a lungo termine, un prerequisito per una crescita economica sostenibile.

Non è altresì difficile oggi immaginarsi scenari estremi, quali ad esempio un conflitto attorno a Taiwan. Ma sono appunto scenari estremi, il cui impatto sui portafogli globali ex Cina sarebbero in ogni caso enormi.

 

…e quello “toro”

Nonostante questi venti contrari, l'ambizione e la determinazione dei cinesi di migliorare la loro situazione non sono improvvisamente svanite. Molti cinesi, di ogni livello di istruzione e reddito, continuano a vedere il loro Paese naturalmente destinato a diventare la più grande economia del mondo e non si accontenteranno di meno.

Su scala storica, i problemi di oggi non sono nulla di nuovo: per esempio, la corte imperiale di Pechino e il commercio privato hanno avuto un rapporto complicato per secoli (ben prima di Marx). Un eccessivo isolamento durante le ultime dinastie imperiali ha contribuito a far mancare alla Cina la rivoluzione industriale, e la maggior parte dei cinesi lo sa molto bene.

 

Quindi, da investitori, che fare? 

In primo luogo, dovremmo essere molto selettivi, disposti a fare il lavoro di ricerca e pronti, in qualche caso, a soffrire nel breve termine, poiché è improbabile che il percorso sia senza intoppi. 

In secondo luogo, alta qualità e bassi prezzi sono una combinazione vincente. Se una società ha bassi multipli, genera e distribuisce tonnellate di denaro, e fa cose ragionevoli con ciò che resta, puoi permetterti di aspettare. Dovremmo quindi continuare a cercare queste società di qualità in settori relativamente meno vulnerabili a cambiamenti strutturali e che, da questi, potrebbero alla fine trarre beneficio.

In terzo luogo, avere bene in mente che raggiungere il target di crescita del 5% nel 2024 e oltre, annunciato dalla Cina, è molto improbabile a meno che le politiche non supportino la crescita strutturale dei consumi interni. E, a nostro avviso, i decisori politici alla fine arriveranno a questa conclusione. 

 

 

 

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° * Fonte Bloomberg

 

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