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1) Performance primo trimestre positiva su tutti i nostri fondi, nonostante la volatilità
La performance di Destination Value Total Return Fund nel 2025 è stata del 6,4% (classe I in US$), +2,4% per la classe in Euro e 4,4% quella Eur hedged - La differenza tra le diverse share class riflette il movimento del cambio $/EUR dalla fine del 2024 al 31.03.2025.
Nel corso del trimestre hanno contribuito positivamente le posizioni sui titoli cinesi, beneficiando sia la strategia Special Situations (Alibaba) che i Compounders (Tencent e AIA), e i titoli europei, soprattutto le banche greche (strategia macro) e Webuild nelle special sits.
Nel credito la strategia Income ha beneficiato soprattutto della posizione nei Finanziari (AT1 e tier2), mentre la strategia Stressed e distressed ha contribuito per 80 bps.
Anche la posizione in oro (che ora classifichiamo nella parte Macro e non più nei cosiddetti Alternative) ha dato un grande contributo nel trimestre (100 bps).
I fondi total return a reddito fisso hanno registrato performance positive nel corso del trimestre : +1,5% sia Destination Dynamic Income TR che Destinazione Rendimento, con le posizioni sul cambio e sui tassi che hanno contribuito positivamente, più che compensando la componente di credito che ha sofferto l’allargamento degli spread.
Infine, il 15 gennaio il fondo total return azionario Destination Capital, ha compiuto un anno di vita per cui siamo ora in grado di fornire il dato di performance dal lancio: +17,6% per la classe EurH e +16,4% per quella in $. Nel primo trimestre hanno registrato rispettivamente una performance del 6,4% ($) e 4,3% (eurH), a fronte di mercati azionari globali in negativo (MSCI ACWI-1,7%).
Fin qui le performance a fine marzo. Poi è arrivato lo shock dell’annuncio delle tariffe che ha gettato i mercati finanziari nel panico.
2) La politica dei dazi USA: rischi di recessione in forte aumento
Quando, nella nostra lettera di fine anno, abbiamo scritto che l’agenda globale sarebbe tornata al centro dell’attenzione dei mercati, dopo un 2024 focalizzato sulla cosiddetta eccezionalità americana (big tech USA, borsa e dollaro) non immaginavamo che il “ciclone” Trump avrebbe avuto un impatto così dirompente.
Apparentemente, le intenzioni di Donald Trump sono niente di meno che uno stravolgimento dell’ordine internazionale sul piano geopolitico ed economico. Ci riuscirà? Come reagirà il resto del mondo? Domande su cui temiamo non ci saranno risposte chiare per molto tempo.
Innanzitutto, non è detto che Trump operi in base ad un progetto stabile e coerente di politica economica. Il suo consigliere Peter Navarro e il ministro del Tesoro Scott Bessent hanno idee opposte sui dazi. Anche ammesso che il governo USA voglia effettivamente riportare l'America ai tempi della presidenza McKinley della fine del 19° secolo, quando il governo finanziava tutte le sue spese attraverso i dazi, procede per tentativi e correzioni di rotta. Il che ovviamente porta ad una forte incertezza per gli operatori economici, famiglie e imprese.
Inoltre le sue politiche sono contraddittorie. Trump vuole principalmente forti tagli delle tasse, e il suo piano è di finanziarli attraverso i dazi. Ma l’aumento dei dazi costituisce di fatto un immediato gigantesco aumento di tassazione, pagato soprattutto dai consumatori americani e dalle imprese domestiche, in termini di minori profitti. Mentre la riduzione delle tasse, o anche il mancato rinnovo dei tagli precedenti, avrebbe effetto solo in tempi più lunghi.
Ci sono poi due grandi limiti all’azione di Trump in politica economica. Il primo è che la sua amministrazione opera in un mondo multipolare. Ai tempi del primo Trump le tensioni commerciali riguardavano prevalentemente la Cina; infatti, il commercio globale da allora ha continuato ad espandersi (+20% dal 2016 al 2024). Ora invece la guerra commerciale non risparmia gli alleati tradizionali come Europa e Giappone.
Perfino per gli USA è complicato agire con prepotenza nei confronti di tutto il resto del mondo. Gli altri paesi prenderanno decisioni in materia di appalti pubblici sfavorevoli agli interessi americani, sia che si tratti di decidere dove acquistare attrezzature per la difesa, sia che si tratti di decidere tra un'infrastruttura di intelligenza artificiale americana contro una cinese, per fare solo un paio di esempi.
Il piano del presidente Trump di costringere il mondo a pagare per i tagli alle imposte americani difficilmente funzionerà. Per questo pensiamo che sarà progressivamente ridotto.
3) La reazione del mercato obbligazionario
Il secondo problema per Trump è la reazione del mercato obbligazionario, che non gli permetterà di ottenere i tagli fiscali nella misura voluta. Questo perché il mercato obbligazionario riconosce che i dazi non sono una fonte di reddito sostenibile. Le entrate derivanti dai dazi diminuiranno nel corso del tempo in seguito al cambiamento dei modelli di commercio globali e all’adattamento degli altri paesi. Mentre gli effetti del taglio delle tasse sul deficit di bilancio USA, che è già ora pari al 7%, sono destinati a durare.
Al momento i rendimenti USA a 10 anni si sono assestati intorno al 4%, mentre due anni fa, a causa dei timori di recessione in seguito al crollo della Silicon Valley Bank, erano scesi sotto il 3,5%. Come mai? Per i timori sul piano fiscale. Inoltre il dollaro USA ha continuato ad indebolirsi.
Se i timori sulla sostenibilità fiscale continuassero a prevalere sull’effetto depressivo dei rendimenti derivanti dal calo dell’attività economica si produrrebbe una situazione complicata da gestire sia per il Tesoro americano che per la Fed. E quando l'indice di gradimento del presidente inizierà a scendere e la disoccupazione inizierà a peggiorare, Trump dovrà fare marcia indietro su alcune delle sue mosse estreme di politica commerciale. La questione è la tempistica. Se la marcia indietro iniziasse già nelle prossime settimane, si potrà evitare una recessione. Diversamente, sarà difficile.
4) Verso un nuovo regime di flussi di capitale, sfavorevole al dollaro e agli asset USA
Ancora più importanti sono le conseguenze di medio lungo periodo sul regime internazionale dei flussi di capitale, che tenderà a riconfigurarsi in modo radicale.
Nelle ultime settimane si è molto parlato di un “accordo di Mar a lago” sul regime internazionale delle valute, basato sull’idea che lo status di valuta di riserva del dollaro sia un peso per gli USA, in quanto ne provoca l'apprezzamento strutturale, compromettendo così la competitività del paese. Si dovrebbe pertanto rinunciarvi, soprattutto attraverso politiche tariffarie e un deprezzamento “pilotato” del dollaro.
Ma non ci sarà bisogno di nessun “grande accordo” sulle valute. I mercati obbligazionari internazionali saranno meno propensi a comprare titoli di Stato statunitensi a causa dei rischi crescenti sul deficit pubblico, mentre gli altri paesi, Europa e Cina sopra tutti, si stanno attrezzando per rinforzare le proprie politiche di crescita. Assisteremo quindi a una grande svolta macroeconomica, guidata dalle politiche fiscali, in cui le aspettative di crescita degli Stati Uniti saranno in calo, mentre le aspettative di crescita del resto del mondo in aumento.
Ecco perché pensiamo che il calo del dollaro sia destinato a continuare. Pensiamo che nei prossimi tre anni il cambio del dollaro, ponderato per gli scambi commerciali, possa scendere del 20-30%. Il dollaro era semplicemente troppo costoso. È stato sostenuto da un'enorme incremento della spesa fiscale negli Stati Uniti negli ultimi cinque-otto anni. Trump ha fatto scoppiare la bolla dell'eccezionalismo americano. Ora assisteremo ad un trend secolare di deflussi di capitale dagli Stati Uniti e di flussi verso altre aree, soprattutto Europa e mercati emergenti.
Il punto cruciale è che i trend valutari saranno guidati meno che in passato dalle prospettive di un aumento o diminuzione dei tassi di interesse in un paese verso quelli negli altri paesi, ma più dalla “forza” strutturale delle economie sottostanti:
Tutto ciò ci fa propendere verso un sottopeso strutturale del dollaro e un sovrappeso strutturale dell’oro nei nostri portafogli. Infatti, in questo contesto di fuoriuscita dei capitali dagli asset in dollari, è prevedibile anche un aumento della domanda di investimento in oro, che finora era stata sostenuta solo dalla domanda dei paesi emergenti, ma molto poco dalla domanda degli investitori occidentali (ETF). In questo scenario, l'oro probabilmente salirebbe ben oltre i livelli attuali.
5) La svolta fiscale europea
Sarà importante capire come reagiranno la Cina, l’Europa e gli altri paesi alle mosse di Trump. Potrebbero essere indotti ad una pura risposta di ritorsione (come la Cina ha già annunciato) oppure ad attuare anche politiche di stimolo della domanda interna.
In questo caso assisteremmo ad un cambio strutturale dei modelli di crescita di questi paesi, soprattutto nel caso della Cina e della Germania, paesi che hanno tradizionalmente adottato politiche economiche “mercantilistiche” (basate sulla crescita dell’export e sulla restrizione della domanda per consumi interna). Con delle conseguenze notevoli anche sul piano delle opportunità di investimento, come vedremo.
Siamo convinti che la performance relativa dei mercati azionari europei e di quello cinese rispetto all’azionario USA possa continuare e diventare la storia dei prossimi cinque anni. E questo indipendentemente dalla severità della guerra commerciale. Che non cambierà la traiettoria di questa rotazione di capitali fuori dagli Stati Uniti, perché ciò che ha causato l'eccezionalismo americano dal 2017 al 2025 è stata la politica fiscale. Per i primi anni dopo il 2010, la sovraperformance del mercato azionario americano è stata una storia di “eccezionalità” aziendale, legata alla crescita dei profitti e alla natura dei modelli di business soprattutto nel settore del big tech. Ma dal 2017, e in particolare dopo la pandemia, si è trattato di politica fiscale. Gli Stati Uniti hanno speso il 400% in più dell'Europa. D’ora in poi, il mercato obbligazionario non permetterà più questo grado di espansione fiscale americana.
Allo stesso tempo la leva fiscale in Europa si sta muovendo nella direzione opposta, con investimenti in infrastrutture e nella difesa, guidati, incredibilmente, dalla Germania. E’ un cambiamento macroeconomico epocale. Si potrebbe dire che Trump ha catalizzato questo fenomeno. Ma pensiamo che fosse ormai inevitabile.
Ma questa non è l'unica ragione per essere positivi sulle borse Europee. Ce ne sono diverse altre. Innanzitutto: le valutazioni delle azioni americane restano molto più alte di quelle europee anche dopo il recupero nel primo trimestre di quest’anno. D’altra parte, la crescita degli utili per azione in Europa e negli Stati Uniti negli ultimi cinque anni è stata esattamente la stessa. Gli investitori pensano che le valutazioni riflettano l’anemia economica europea, ma in realtà riflettono soprattutto gli eccessi di spesa fiscale dell'America negli ultimi cinque anni.
La seconda ragione è il superamento della crisi energetica. Nei prossimi due anni ci sarà un’ondata di forniture di GNL che sommergerà l'Europa di energia a basso costo. La terza ragione è che la pressione geopolitica costringerà i politici europei a pensare finalmente in termini di completamento del mercato unico. L'Europa ha molte aziende ben gestite, ma con margini di profitto ristretti perché operano in così tante giurisdizioni diverse. Per fare un solo esempio, una società di telecomunicazioni cinese ha 400 milioni di utenti, un'americana ne ha 120 milioni e quelle europee hanno 10 milioni di utenti. Occorre completare il mercato unico e favorire attività di fusione e acquisizione.
Infine la questione militare. Putin e Trump hanno costretto l'Europa a pensare a riforme radicali, anche sul piano della difesa. Il rischio che gli USA abbandonino l’Europa al suo destino è peraltro probabilmente sopravvalutato, così come quello che la Russia abbia i mezzi per attaccare l'Europa. Ci troviamo quindi in una situazione in cui i rischi percepiti sono sopravvalutati e le riforme sottovalutate.
6) Opportunità in Cina
Anche la Cina ha un’opportunità storica di affermare le proprie ambizioni di potenza economica globale, dato l’atteggiamento americano di ripiegamento sui propri interessi.
Il problema economico principale della Cina rimane la debolezza strutturale della domanda interna per consumi, conseguente allo scoppio della bolla immobiliare. Si trova in un contesto di stagnazione secolare, bassa crescita e bassa inflazione, in cui i tassi di interesse sono molto bassi, un po' come quelli negli Stati Uniti dopo il 2010. Quel contesto di denaro a buon mercato ha prodotto negli USA una forte ondata di innovazioni, sia nel settore energetico (petrolio di scisto) che nella tecnologia.
Anche la Cina potrebbe orientarsi verso un forte sviluppo del settore tecnologico. I segnali degli alti dirigenti del Politburo cinese vanno in quella direzione, con la “riabilitazione” dei dirigenti delle grandi imprese tech cinesi. Avendo già aumentato la propria competitività in diversi settori ad alto valore aggiunto, dalle auto elettriche, ai semiconduttori alla componentistica industriale e tecnologica, la Cina potrà continuare a mantenere un ampio surplus commerciale con il resto del Sud Est Asiatico, il Medio Oriente e l’America Latina.
Del resto, se gli Stati Uniti adotteranno una visione conflittuale del commercio globale, apriranno inevitabilmente il mondo ai prodotti cinesi di intelligenza artificiale e ai beni europei per il capitale e la difesa. Alibaba diventerà un fornitore di infrastrutture cloud AI nel Sud del mondo. Consentirà alle imprese europee di dominare l'automazione e l’aviazione commerciale. Consentirà a BYD di dominare la rivoluzione dei veicoli elettrici.
7) Conclusione
Per il momento la combinazione di prospettive di calo della crescita globale e caduta dei prezzi dell’energia ha fatto scendere i mercati azionari, allargare gli spread sui titoli corporate e scendere, ma non di molto, i rendimenti dei bond Usa a lunga scadenza.
Non dimentichiamo che tra la seconda metà del 2025 e la prima metà del 2026 il Tesoro USA dovrà rinnovare una montagna di titoli in scadenza e lo stesso vale per un’ingente mole di bond corporate. Per entrambi avere rendimenti bassi in questa fase sarà essenziale.
Al momento manteniamo la nostra posizione sugli asset di rischio al livello minimo, abbiamo accresciuto gli hedge e manteniamo una posizione di massimo sottopeso sul dollaro e una duration relativamente lunga rispetto alla media storica. Ma siamo pronti a cogliere le opportunità che il mercato ci potrà offrire nelle prossime settimane, nel caso migliore, o nei prossimi mesi, se la volatilità degli ultimi giorni dovesse proseguire.
***
Infine, avvicinandosi il quinto compleanno del nostro fondo flagship multi-strategy, Destination Value TR, il 4 maggio 2025, vogliamo ringraziare tutti gli investitori che ci hanno dato fiducia in questi anni.
A loro diciamo che continueremo con il massimo impegno a cercare di cogliere le opportunità migliori di investimento a livello globale, e al tempo stesso cercheremo di proteggere il più possibile i loro asset dai rischi macro economici, geopolitici e di mercato.
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Destination Value Total Return (“DVTR”) -Obiettivo e politica d'investimento: L'obiettivo di questo Fondo è ottenere un maggiore rendimento totale ponderato per il rischio nel ciclo di mercato. Per raggiungere gli obiettivi del Fondo, è essenziale realizzare la rivalutazione del capitale a lungo termine e il reddito sottostante attraverso un orientamento di lungo termine sulla valutazione e sui cicli di mercato. Benchmark: SOFR Index. Il Fondo è gestito attivamente e utilizza il Benchmark per calcolare la commissione legata al rendimento. Il Comparto non utilizza il benchmark per finalità di investimento.
Destination Dynamic Income Total Return (“DDITR”) – Obiettivo e politica d’Investimento: Il Comparto mira a ottenere un interessante rendimento totale corretto per il rischio attraverso l’apprezzamento del capitale e la generazione di reddito sul medio termine. Il Comparto è gestito attivamente e non effettua investimenti in relazione ad alcun benchmark; questo significa che le singole posizioni sono selezionate attivamente sulla base di ricerche e valutazioni specifiche. Sebbene sia gestito attivamente e non utilizzi un benchmark per l’allocazione del portafoglio, il Comparto fa riferimento al €STR Index ai fini del calcolo della commissione di performance.
Destination Capital Total Return (“DCTR”) – Obiettivo e politica d’Investimento: Il Comparto mira a ottenere un interessante rendimento totale in termini di rischio attraverso l'apprezzamento a lungo termine del capitale con una certa generazione di reddito, concentrandosi sulla valutazione a lungo termine e sui cicli di mercato. Il Comparto è gestito attivamente e non effettua investimenti in relazione ad alcun benchmark; questo significa che le singole posizioni sono selezionate attivamente sulla base di ricerche e valutazioni specifiche. Sebbene sia gestito attivamente e non utilizzi un benchmark per l’allocazione del portafoglio, il Comparto fa riferimento al MSCI ACWI Total Return USD Index ai fini del calcolo della commissione di performance.
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