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Grande è la confusione sotto il cielo, quindi la situazione è eccellente?

Carlo Gioja, Portfolio Manager e Head of Asia Business Development, Plenisfer Investments SGR

 

Tina, ovvero “There is no alternative”, è il mantra che ha caratterizzato i mercati per quasi due decenni, durante i quali il focus degli investitori è stato prevalentemente su Wall Street

Da tempo segnaliamo l’eccessivo rischio di concentrazione nel mercato statunitense e da inizio marzo abbiamo assistito a una significativa correzione che ha riportato le valutazioni del settore tecnologico all’era pre-Trump*[1]

Si è trattato di una correzione fisiologica o il vento è cambiato

 

Certamente non piace al mercato l’incertezza generata dalle politiche commerciali di Trump e, soprattutto, dagli imprevedibili cambi di direzione sul fronte dei dazi. Più in generale, la percezione della politica americana come prevedibile e fondata su principi duraturi (almeno nei suoi cardini centrali), e il predominio della legge sulle autorità dei singoli (Rule of Law), sono a fondamento del successo secolare del mercato dei capitali di Wall Street. Ogni evento che pone questi fattori in dubbio, anche se solo marginalmente, non può che danneggiare il “premio di rischio” implicito che da molto tempo tutti riconoscono agli Stati Uniti. 

 

Gli investitori guardano, infatti, con favore alle aree dove la stabilità e la prevedibilità delle regole e del sistema economico sono assodate. Ed è questo uno dei motivi per cui gli investitori sono fuggiti dal mercato cinese negli ultimi tre anni. Prima la stretta regolamentare sul settore tech, poi quella sul settore immobiliare, con conseguente crisi ancora oggi in corso, hanno creato un ambiente percepito come poco favorevole agli investimenti privati.

 

Ma oggi, quale Paese appare più stabile e “prevedibile” tra Usa e Cina?

 

La Cina oggi non persegue più una crescita elevata, ma punta su politiche industriali e settori strategici come AI, semiconduttori, energy e mobilità elettrica dove le società cinesi dominano il mercato locale e sono in forte crescita anche fuori dal Paese.

 

Pechino punta a crescere di circa il 5% nel 2025*[2]anche attraverso una “politica fiscale proattiva” volta a sostenere consumi interni e innovazione tecnologica. Se ancora non ci sono azioni concrete e dirompenti, i segnali non mancano. Tra questi spicca l’aver fissato il deficit di bilancio al 4% del Pil rispetto al 3% dello scorso anno*: il più alto degli ultimi tre decenni, mentre sul fronte dell’innovazione tecnologica è stata annunciata una nuova piattaforma obbligazionaria per aiutare le aziende tech ad emettere debito onshore per crescere e sarà raddoppiato il programma di prestiti per le industrie innovative fino a 127 miliardi di euro*. E il Ministro delle Finanze ha recentemente sottolineato la necessità di “investire nelle persone”, oltre che nelle infrastrutture: un cambiamento significativo nel linguaggio ufficiale.

 

Nonostante il comprovato track record della Cina come polo di innovazione, gli investitori tendono ancora a sottovalutarne il potenziale. Secondo il Critical Technology Tracker dell'Australian Strategic Policy Institute, la Cina è leader globale in 57 su 64 tecnologie strategiche. Questo dominio è dovuto non solo a una politica industriale aggressiva e a un quarto di secolo di ambiente commerciale globale favorevole, ma anche alla genialità di molti imprenditori in una delle economie più competitive al mondo. Sempre più spesso, in un lungo elenco di settori, i concorrenti più temibili delle migliori aziende occidentali sono cinesi. Se questi campioni sono così temibili che solo con un'imponente serie di barriere commerciali si può sperare di arginarne la crescente concorrenza, come investitori dovremmo chiederci se non stiamo perdendo importanti opportunità. Soprattutto in considerazione dell'asimmetria informativa e delle valutazioni generalmente poco.

 

Il sostegno all’innovazione industriale si unisce all’intenzione della Cina di voler rimanere aperta al business, e posizionata come un ecosistema più prevedibile. La recente “riabilitazione” pubblica di Jack Ma, e il successo mondiale di DeepSeek ampiamente ripreso dai media cinesi, sono un evidente segnale della volontà di rientrare, almeno per ora, dagli “eccessi di statismo” degli anni del Covid Zero. Pechino sembra avere colto il messaggio che per avere un paese innovativo, le aziende private vanno incoraggiate e lasciate correre.

 

Un desiderio di stabilità che si legge anche sul fronte valutario: il dollaro verso il renminbi “on shore” è praticamente piatto (-0,9%) mentre l’euro è leggermente cresciuto portando a una svalutazione del 4% circa della valuta cinese da inizio anno*. Pechino, da un lato, pilota il cambio della sua valuta con il dollaro, mantenendolo fin qui stabile, e, dall’altro, sfrutta la discesa delle altre divise per favorire l’export, soprattutto in Asia.

 

La Cina vuole porsi quale valuta di riferimento per i Paesi non allineati. Di conseguenza, l’obiettivo è mantenere una divisa forte che ne segnali la rilevanza economica. La Cina è diventata - indica la General Administration of Customs cinese - il principale partner commerciale di oltre 150 Paesi e regioni: a fronte di ciò, potere contare, senza alcun allentamento quantitativo, sull’euro forte è molto utile al Dragone. 

 

I nuovi dazi del 10-15% - in risposta al rialzo generalizzato al 20% voluto da Trump su tutto l’import dalla Cina* – sono indirizzati esclusivamente ad alcuni prodotti agricoli, per evitare, per ora, un’escalation della guerra commerciale. Questo approccio è stato ulteriormente favorito dalla decisione della Cina di non svalutare la propria moneta.

 

La partita dei dazi non è ancora realmente iniziata, e resta da vedere quali saranno gli impatti di lungo termine sulla bilancia commerciale mondiale. In uno scenario dove le tariffe non sono uno strumento chirurgico mirato a poche industrie e paesi “nemici”, ma piuttosto una politica di ampio respiro che riguarda tutti i partner commerciali degli Stati Uniti, nel tentativo di riscrivere le regole del commercio globale, la Cina è dotata di strumenti e vantaggi competitivi che potrebbero renderla paradossalmente più resiliente. L’integrazione delle supply chain cinesi e la capacità di produrre in scala sono difficilmente riproducibili oggi in qualsiasi altro paese al mondo. Se aggiungiamo un’evidente e crescente abilità nell’innovare, non è difficile immaginare che la competitività relativa delle migliori aziende cinesi rimarrà all’avanguardia per molti anni.

 

Anche per questo pensiamo che il pessimismo sulla Cina di questi ultimi anni sia meno giustificato oggi.I problemi strutturali della Cina sono ben conosciuti e spesso anche prezzati nelle valutazioni di mercato. Lo stesso non si può invece ancora dire delle potenzialità delle sue eccellenze imprenditoriali.

 

 

[1] *Fonte: Bloomberg

[2] * Fonte: Bloomberg

 

 

 

 

 

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