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Il ciclo rialzista di lungo periodo per l’uranio e il ruolo delle utility sul rally del 2023

Marco Mencini, Head of Research di Plenisfer Investments SGR

 

In un commento dello scorso febbraio stimavamo che il prezzo dell’uranio potesse arrivare entro la fine dell’anno a 60$ a libbra. Tale soglia è stata superata già nei primi giorni di settembre, per una crescita dei prezzi spot di circa il 30% da inizio anno, trend che posiziona l’uranio come una delle materie prime più performanti del 2023 (Fonte: Bloomberg).

Mentre il rally dell'uranio del 2006-2007 - che aveva portato il prezzo fino a $ 137 a libbra - era stato guidato principalmente dagli hedge fund, l'attuale fase rialzista è guidata soprattutto dagli acquisti a termine di utility e selezionati produttori ed è quindi più sana, sostenibile e di ampia portata.

In particolare, le utility si sono riaffacciate sul mercato dopo due anni di sostanziale assenza. Nel solo primo semestre dell’anno in corso le utility hanno siglato contratti di acquisto a lungo termine di uranio per 107 milioni di libbre, valore ai massimi da 10 anni e che si confronta con i 125 milioni dell’intero 2022 (Fonte: 2022 Term Contracting Review). Questo trend dovrebbe proseguire nei prossimi mesi sostenuto dal bisogno delle utility di gestire scorte in esaurimento: si stima che le scorte su cui contano le utility statunitensi copriranno il loro fabbisogno solo per circa due anni, mentre quelle delle europee per circa tre anni (fonte: UxC). Le scorte delle utility asiatiche, in particolare Giappone e Cina, sono più difficili da quantificare, ma in generale, sulla base delle nostre stime, le utility dovranno aumentare gli acquisti per soddisfare le esigenze future portandole dagli attuali 150 milioni di libbre all’anno a oltre 250 milioni, quantitativo che porta a un deficit dell’offerta globale cumulata stimabile a 1,5 miliardi di libbre entro il 2040.

Tale deficit sarà sostenuto da un lato da un’offerta limitata, dall’altro da una domanda di uranio che stimiamo in strutturale aumento del 3/5% all’anno alla luce del previsto prolungamento della vita degli impianti nucleari esistenti e dei nuovi progetti attesi.

I governi di tutto il mondo sono, infatti, sempre più favorevoli all'energia nucleare, considerata fonte di elettricità a emissioni zero e sempre più una soluzione ai rischi per l’indipendenza e la sicurezza energetica. Lo stesso Giappone, dopo aver spento le sue 33 centrali dopo Fukushima, ne ha già riattivate 11 e intende riportarle a piena attività entro il decennio. Negli USA è stato approvato lo scorso luglio l'ADVANCE Act a sostegno dell’industria nucleare nazionale, per la quale sono stati stanziati 8 miliardi di dollari, mentre l’Europa ha formalmente riconosciuto il ruolo che il nucleare potrà giocare nel raggiungimento degli obiettivi di “Zero Net Emission”, fissati per il 2050 e alcuni Paesi come la Francia hanno allungato la vita delle centrali già operative. 

Gli impianti di produzione di energia nucleare sono quindi in costante crescita: oggi al mondo si contano 436 reattori attivi, per un totale di circa 390 GW di energia elettrica prodotta, pari al 9% della produzione globale. 

Alla luce del trend di decarbonizzazione combinato alla necessità di aumentare la produzione di energia elettrica (che IEA stima debba raddoppiare nel prossimo decennio), anche ipotizzando che il contributo del nucleare alla generazione di energia resti stabile, appare evidente che anche la produzione di energia da nucleare sia destinato a raddoppiare. E sono infatti 59 gli impianti tradizionali già in costruzione e ulteriori 111 sono già stati approvati, mentre altri 321 sono allo studio. Di tutti questi nuovi e potenziali impianti, quasi il 50% verrà realizzati in Cina (Fonte World Nuclear Association). 

Un contributo significativo alla produzione di energia da nucleare potrà arrivare anche dai nuovi reattori modulari (SMR, Small Modular Reactors): 76 sono già in fase di sviluppo, prevalentemente negli USA, Russia e Cina, e si stima che il mercato degli SMR potrà arrivare a valere 1 trilione di dollari entro il 2050 (Fonte: Barclays Research) alla luce della versatilità con cui queste soluzioni potranno fornire energia, anche a singoli impianti produttivi.

A complicare lo scenario sul fronte di un’offerta già limitata vi sono diversi fattori da considerare, sia strutturali che contingenti.

Tra i fattori strutturali vi è l’elevata concentrazione della produzione di uranio con conseguenti rischi geopolitici: il 40% viene estratto in Kazakistan, mentre il 40% dell’uranio arricchito – ovvero il carburante degli impianti nucleari - viene prodotto in Russia. Inoltre, l’avvio di nuove miniere richiede circa un decennio e l’offerta potrà quindi solo lentamente aumentare. Tale fattore si somma ai mancati investimenti su questo fronte negli ultimi dodici anni, limitati di oltre l’80% (fonte: S&P Global Market Intelligence) sia a fronte dalla combinazione dell’aumento dei costi di estrazione con un prezzo dell’uranio che in media è stato pari a circa 20$ a libbra, sia dallo sfavore verso il nucleare generato dai tragici eventi di Fukushima.  

Il deficit di uranio sarà inoltre sostenuto anche dal restringimento del mercato secondario costituito essenzialmente da riserve strategiche di diversi paesi che oggi si trovano ai minimi (500 milioni di libbre, fonte: WNA) dopo che per un decennio hanno soddisfatto circa il 10% della domanda di uranio a fronte dello smobilizzo degli armamenti nucleari. 

Tra i fattori congiunturali che incidono sull’offerta, basti citare il colpo di stato in Niger - che potrebbe rallentare lo sviluppo del progetto Dasa che dovrebbe portare entro il 2025 a rendere operativo il più grande sito di estrazione al mondo di Uranio – e la riduzione della previsione di produzione annunciata da Cameco, leader globale nella fornitura di Uranio con il 20% del mercato. A fronte di problematiche di scarsità di forniture e forza lavoro nelle miniere di Cigar Lake e nello stabilimento di Key Lake, la produzione attesa da Cameco per il 2023 è passata da 33 milioni di libbre a 30,3 milioni di libbre, per una flessione di circa il 15% nel solo secondo semestre in corso. Per soddisfare gli impegni di vendita assunti, Cameco potrebbe aumentare gli acquisti sul mercato, supportando ulteriormente il prezzo dell’uranio. 

Alla luce della dinamica di domanda e offerta e di tutti i fattori descritti, in Plenisfer pensiamo che la fase rialzista dell’uranio- in corso da tre anni - sarà di lungo termine: ci aspettiamo possa proseguire per un decennio e potenzialmente anche più a lungo in funzione della velocità con cui i produttori riusciranno ad ampliare l’offerta.

In particolare, riteniamo sia ragionevole assumere che entro il prossimo biennio il prezzo dell’uranio sia destinato a superare il costo marginale di produzione, oggi pari a 75/80 $ a libbra, secondo una dinamica già osservata per tutte le altre materie prime energetiche, nessuna delle quali ha un prezzo oggi inferiore al relativo costo marginale.

Tale traiettoria potrebbe accelerare qualora investitori finanziari tornassero ad affacciarsi sul mercato come già accaduto in occasione dei rally registrati dal prezzo dell’uranio tra il 2000 e il 2010.

 

 

 

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