I trend facili sono alle spalle: cosa fare?

Destination Value, il nostro fondo flagship, ha tagliato il traguardo dei primi due anni di vita. 

 

E’ l’occasione per un bilancio: a nostro avviso, positivo (i dati sono disponibili sui nostri report trimestrali dedicati alla clientela).  Ma è anche l’occasione per una riflessione sul futuro che ci attende.

 

Quando abbiamo fondato Plenisfer ci aspettavamo mercati in forte evoluzione e uno scenario globale sempre più complesso. Ma non pensavamo certo ad eventi drammatici come una pandemia su scala globale o una guerra nel cuore stesso dell’Europa. 

 

Questi eventi hanno, di fatto, accelerato alcune dinamiche che avevamo ipotizzato (CEO letter maggio 2020) e che, dicevamo, avrebbero portato a una nuova era per gli investitori: l’esaurirsi della spinta deflazionistica, l’attenuarsi degli effetti della fase più intensa di globalizzazione, la transizione dalle politiche monetarie cosiddette non convenzionali ad una politica monetaria “normalizzata”. 

 

Già prima del verificarsi degli eventi di questi due anni avevamo messo in discussione metodi e logiche di investimento. Un ripensamento che attiene sia al “contenuto” degli investimenti (quale tipo di investimenti privilegiare) che al “modo” in cui effettuare l’attività di investire.

 

Questa riflessione è oggi ancora più cruciale, e non solo alla luce degli eventi descritti. Per la prima volta dalla partenza del fondo, nel primo trimestre di quest’anno, si sono infatti verificate le circostanze che potrebbero caratterizzare lo scenario dei prossimi anni: gli indici azionari e quelli obbligazionari hanno registrato performance negative contemporaneamente. Un fenomeno che, se dovesse proseguire, porterebbe al venir meno di uno dei pilastri della costruzione di portafoglio, ovvero la correlazione negativa tra le due principali asset class.

 

Siamo quindi ancora più convinti che procedere con un asset allocation tradizionale, seguita dalla selezione dei titoli, non sia la strada giusta per raggiungere obiettivi di rendimento e rischio. Sia perché dalle principali asset class non ci possiamo in futuro aspettarci granché, in termini di rendimenti prospettici, sia perché la diversificazione tra loro potrebbe non funzionare, come appena detto. Pensiamo occorrerà, invece, “guardare dentro” le singole asset class, con la libertà di scelta che non è consentita a chi investe “contro un indice” e non può quindi prescindere da quei titoli che nell’indice sono maggiormente rappresentati. 

 

L’approccio che abbiamo adottato, costruire il portafoglio per “strategie” e non per asset class, ci pare il più adatto per la nuova fase. All’interno della “strategia” ci potranno certo essere singole azioni o obbligazioni, ma con un obiettivo di “total return”, non di performance relativa. 

 

Entriamo nel terzo anno di gestione forti dei risultati già conseguiti, ma guardiamo al mondo davanti a noi con la consapevolezza che un metodo che funziona dovrà essere sottoposto a prove ancora più dure.

 

Bisognerebbe sempre guardarsi dal dipingere scenari apocalittici di cambiamento. Su una scala temporale “secolare”, sappiamo che ci sono stati periodi analoghi a quello che sembra profilarsi. Abbiamo vissuto periodi di guerra fredda e periodi di guerre “calde”. Periodi di alta inflazione. Periodi di “globalizzazione” seguiti da periodi di maggiore chiusura delle interazioni e degli scambi economici tra paesi. 

 

Se però ci limitiamo ad un confronto con il periodo più recente, diciamo gli ultimi due decenni, possiamo dire che siamo di fronte ad elementi di discontinuità evidenti.

 

Stiamo affrontando la fase “matura” del ciclo economico e geopolitico di lungo periodo, in cui si assiste ad una crescente scarsità degli input (capitale, lavoro ed energia), con delle conseguenze problematiche sia sul fronte economico che su quello geopolitico: minor crescita e maggiore inflazione sul piano economico. Maggiore instabilità dell’ordine mondiale su quello geopolitico.

 

Certo, gli elementi per uno scenario di maggiore inflazione erano già presenti prima degli eventi più recenti. I semi dell’inflazione sono da ricercare nelle politiche di abnorme crescita delle masse monetarie degli ultimi anni. In una crisi energetica che ha le sue radici nel sotto-investimento nella produzione di combustibili fossili. Nell’accentuarsi delle disparità di reddito e ricchezza che richiedono l’attuazione di politiche di redistribuzione dei redditi.

 

I fattori alla base di una spinta di minore integrazione geopolitica a livello globale vanno, invece, ricercati nelle guerre tariffarie e nella competizione tecnologica tra le grandi potenze (Cina e USA), prima ancora che nelle sanzioni seguite alla guerra della Russia all’Ucraina.

 

Inoltre, sul piano microeconomico, dopo lo scoppio della pandemia le aziende stavano già riconsiderando le catene di fornitura, troppo estese a livello geografico a causa della ricerca della massima efficienza. Stavano rivedendo al ribasso gli investimenti diretti di capitale all’estero, e puntando sul reshoring delle attività produttive, con la conseguenza di un maggior affidamento sulla manodopera locale, spesso più costosa. Questo non poteva che avere un impatto negativo sulla profittabilità e sui rendimenti sul capitale investito. Oltre che sull’inflazione.

 

Infine, stavano già venendo a galla i rischi crescenti di scarsità delle forniture energetiche, a seguito della strozzatura dell’offerta nelle produzioni energetiche tradizionali e dell’intermittenza della fornitura delle rinnovabili. Emergevano infine i rischi di scarsità nelle forniture dei materiali (metalli, terre rare), fondamentali per la trasformazione digitale e per quella energetica. 

 

Con lo scoppio della guerra in Ucraina, tutti questi rischi sul piano dell’inflazione e di una minor crescita economica vengono accentuati. 

 

Ad essi si aggiungono nuovi interrogativi sull’assetto finanziario globale. Le sanzioni sulle riserve valutarie della Russia sollevano domande sul valore strategico delle riserve denominate in dollari o in euro in caso di ulteriore escalation delle tensioni geopolitiche. Aumentano le spinte per la creazione di sistemi di pagamento alternativi, per esempio basati sulla valuta cinese, per regolare gli scambi al di fuori della sfera di influenza occidentale. 

 

Insomma, un mondo in profonda trasformazione rispetto a quello cui eravamo abituati solo un paio di anni fa. Eppure, il dibattito tra gli operatori finanziari e gli investitori sembra ancora molto concentrato sul ciclo a breve termine delle politiche monetarie, sulla probabilità di una recessione nei prossimi mesi, sul calo probabile di multipli di Borsa ancora troppo elevati. Tutti problemi rilevanti, certo. Ma in un’ottica, appunto, di breve termine.

 

Dovremmo, invece, cercare di interpretare i fenomeni cui stiamo assistendo - de-globalizzazione, inflazione strutturale, scarsità strutturale degli input energetici e delle materie prime - e il conseguente riflesso sul set delle opportunità di investimento, con uno sguardo che vada più lontano.

 

In questa prospettiva, ci domandiamo quanto spazio possa avere strutturalmente nei portafogli un asset class come il reddito fisso, destinato a consegnare rendimenti reali negativi ancora per molto tempo, nonostante il probabile rialzo dei rendimenti nominali. Infatti, tenere i rendimenti reali al di sotto dello zero è un modo molto efficace per ricondurre sotto controllo l’enorme quantità di debito pubblico e privato creato negli ultimi due decenni.

 

Quanto alle azioni, potranno difenderci meglio dalla crescita secolare dell’inflazione, pur scontando un rischio di recessione a breve termine. Le azioni vanno, infatti, certamente annoverate tra gli asset reali. Non tutte però. In primis, per la ovvia ragione che solo alcuni business model saranno in grado di trasferire sui prezzi di vendita l’aumento del costo degli input.

 

Ma anche perché la formidabile crescita degli indici di Borsa di questi anni si è fondata sullo sconto di flussi di cassa sempre più lontani nel tempo, a tassi di interesse minuscoli. Questo non sarà più possibile, in un mondo di tassi al rialzo. In altri termini, anche le azioni, in particolare in alcuni settori come la tecnologia, possono essere a “duration lunga”. 

 

La selezione delle azioni assume quindi un significato nuovo: non selezione per battere un indice, ma per individuare i business model che funzionano anche in un contesto di inflazione.

 

Guardando alle commodities, pensiamo siano all’inizio di un bull market secolare. Anch’esse potrebbero soffrire nel breve un rischio di recessione globale. Ma, nel lungo periodo, la rivoluzione verde e la transizione digitale continueranno a essere affamate di energia, di metalli e di altre materie prime.  Non sarà tuttavia facile accedere ai ritorni che le commodities possono generare. Queste si trovano, infatti, in paesi che presentano forti rischi di natura politica connessi alle crescenti tentazioni dei governi di “catturare” il valore proveniente da queste risorse attraverso continui cambiamenti nella regolamentazione o nelle licenze, se non procedendo a vere e proprie nazionalizzazioni.

 

Infine, sul piano valutario occorrerà procedere con prudenza. Sia il dollaro che l’euro sono soggetti ad un processo di svalutazione strutturale legato alla crescita dell’inflazione.  La valuta cinese ambisce nel lungo periodo a svolgere un ruolo maggiore negli scambi internazionali. Ma sconterà ancora a lungo la mancata liberalizzazione da parte cinese della parte in conto capitale della bilancia dei pagamenti. 

 

Le valute dei paesi emergenti andranno analizzate una per una, in uno scenario in cui i vantaggi competitivi saranno legati più al possesso delle materie prime che alla disponibilità di riserve valutarie derivanti dall’avanzo di partite correnti. L’oro e i metalli preziosi continueranno a svolgere un ruolo fondamentale nei portafogli, soprattutto in rapporto alla svalutazione delle cosiddette fiat currencies. 

 

Abbiamo fondato Plenisfer sulla base dell’idea che il periodo dei “trend facili” fosse alle spalle. Gli eventi cui stiamo assistendo, in particolare la crescita secolare dell’inflazione e il ritorno a scenari geopolitici da guerra fredda, sembrano dare ragione a questa previsione. Come abbiamo già osservato, per la prima volta da tanti anni una asset allocation basata solo su azioni e obbligazioni potrebbe non bastare a consegnare rendimenti soddisfacenti.

 

Se l’era dei trend facili è finita, per generare performance servirà una gestione veramente attiva, in cui lo sguardo macro e l’analisi bottom up sono le due facce della stessa decisione di investimento e non due momenti decisionali distinti, affidati per giunta a soggetti diversi. Servirà il coraggio di avere un portafoglio “diverso” anche se nel breve termine questo potrebbe portare “volatilità”, cioè decorrelazione con l’andamento di mercato. Un portafoglio diverso e davvero attivo: questo è l’impegno che ci sentiamo di prendere con i nostri sottoscrittori.

 

Giordano Lombardo

CEO e Co-CIO Plenisfer Investments SGR

 

 

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