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Marco Mencini, Head of Research, Plenisfer Investments SGR
Negli ultimi dodici mesi abbiamo assistito al progressivo consolidamento dei prezzi spot dell’uranio intorno ai 70 dollari a libbra, valore più che doppio rispetto al prezzo medio di circa 30$ registrato tra il 2016 e il 2021, ma ancora lontano dal picco di inizio 2024, pari ad oltre 100 dollari[1]:
[1] Source: Bloomberg

L’attuale prezzo è dunque il nuovo valore di riferimento per l’uranio e il picco del 2024 è stato un caso isolato?
A nostro avviso, no.
Il recente calo dei prezzi è dovuto a dinamiche di breve termine: il picco del 2024 è stato sostenuto da massicci acquisti delle utilities che negli ultimi 12 mesi hanno invece limitato l’attività di approvvigionamento, inferiore al tasso di sostituzione delle scorte[2], in attesa di un calo dei prezzi.
Un calo, a nostro avviso, improbabile.
Riteniamo, infatti, che l’attuale fase di mercato sia una fisiologica pausa, che segue un’accelerazione durata oltre due anni e che non altera la traiettoria del ciclo secolare in corso.
In Plenisfer consideriamo, in particolare, 70 dollari il nuovo floor del prezzo dell’uranio e ci aspettiamo una risalita progressiva dei prezzi a breve termine verso gli 80 dollari e, nel medio termine, verso i 100 dollari a libbra. Una stima supportata dall’analisi delle dinamiche e dei fondamentali del settore.
I fattori a supporto di una domanda in crescita
Il deficit di uranio resta strutturale: la domanda globale è in crescita costante e stimata in circa 195 milioni di libbre nel 2025, a fronte di una produzione primaria compresa tra 155 e 160 milioni. Il deficit annuo supera dunque i 30 milioni di libbre[1].
La domanda continua, infatti, ad essere trainata dalle nuove politiche energetiche: sono in costruzione 63 impianti al mondo, mentre il Giappone ha riattivato il 25% degli impianti esistenti – spenti dopo il disastro di Fukushima - e ha confermato che entro il decennio arriverà al 100%, per poi iniziare a costruire nuove centrali[3]. La Cina punta a costruirne 150 entro il 2040 triplicando la propria domanda di uranio[4] e in Europa assistiamo al ritorno del nucleare, con il crescente interesse verso sistemi di produzione di ultima generazione, gli Small Modular Reactor (SMR).
E a sostenere la domanda si è inoltre ora aggiunto un nuovo attore chiave: gli Stati Uniti.
Il “Trump Act” e la rinascita del nucleare americano
Con gli Esecutive Orders del 23 maggio 2025, Trump ha lanciato un piano strategico con l’obiettivo di quadruplicare la capacità nucleare americana portandola da 100 a 400 GW entro il 2050[5]. Per farlo, ha introdotto un percorso autorizzativo rapido per la costruzione di nuovi impianti, un programma pilota per tre reattori modulari da realizzare entro un anno, potenziamenti su impianti esistenti e iniziative per riaprire centrali chiuse, oltre a programmi di sostegno all’industria nazionale dell’uranio.
È una svolta storica. Gli Stati Uniti non solo tornano a investire massicciamente nel nucleare, ma lo fanno con una visione strategica legata all’indipendenza energetica e alla leadership tecnologica. Insieme alla Cina, il target cumulato solo tra le due potenze supera i 1.200 GW di capacità nucleare entro il 2050, rispetto ai circa 390 GW attuali[6]. Questo implica una domanda potenziale di oltre 1 miliardo di libbre di uranio nei prossimi 15 anni.
A questa domanda si sommerà, peraltro, quella che sarà generata dalle principali aziende tecnologiche: Microsoft, Google, Amazon investiranno oltre 1 trilione di dollari in nuovi data center nei prossimi cinque anni, per supportare la diffusione dei sistemi di intelligenza artificiale: per poterli alimentare hanno già realizzato o annunciato investimenti in centrali esistenti o SMR per oltre 3 miliardi di dollari[3].
E l’offerta?
La produzione primaria è oggi largamente insufficiente, ma l’offerta è lenta a reagire. L’avvio della produzione di nuove miniere richiede non solo tempi lunghi – pari a 10-15 anni – ma anche prezzi dell’uranio tali da rendere economicamente sostenibile l’investimento.
Kazatomprom, il maggiore produttore mondiale con oltre il 40% del mercato, ha recentemente confermato la riduzione della produzione del 10% nel 2026, data la necessità di prezzi stabilmente più elevati, pari ad almeno 80$, per tornare al 100% di utilizzo del sottosuolo.
In più, il mercato secondario – che ha finora compensato la carenza di offerta – è destinato a esaurirsi, con il Giappone - uno dei principali fornitori di scorte di uranio inutilizzate dopo lo stop alle centrali del Paese a seguito del disastro di Fukushima – impegnato nella riattivazione delle proprie centrali.
A questo si aggiunge la corsa dei grandi player finanziari con fondi e veicoli dedicati alla commoditiy che stanno accumulando uranio fisico fuori mercato, riducendone ulteriormente la disponibilità.
Conclusioni: una view rafforzata
Nel breve termine, la volatilità dei prezzi può offrire punti di ingresso interessanti. Ma è nel medio-lungo periodo che l’uranio mostra il suo vero potenziale. Gli attuali livelli, inferiori ai picchi del 2024 e ancora distanti dai massimi storici reali (137 dollari a libbra nel 2007[5] pari a oltre 180 dollari attuali se aggiustati per l’inflazione), rappresentano – a nostro avviso – un’opportunità a cui guardare con attenzione anche alla luce dei temi che è in grado di coniugare:
tendenze di lungo periodo chiare e misurabili (decarbonizzazione, sicurezza energetica, AI infrastructure, difesa);
un’offerta limitata, rigida e a lenta reazione;
una sottovalutazione ancora presente rispetto al fair value di equilibrio.
Rimaniamo, quindi, costruttivi sull’uranio il cui prezzo stimiamo tornerà a crescere progressivamente nei prossimi 12 mesi quando le Utilities, caratterizzate da cicli di acquisto a medio termine, torneranno a fare scorte di uranio dopo un anno di sostanziale immobilità e si scontreranno con un mercato sempre più sottile.
Eventuali sanzioni aggiuntive imposte alla Russia potrebbero peraltro accelerare la corsa del prezzo verso il target di 100 dollari a libbra, pari al costo operativo per la produzione dei player di minore dimensione.
La finestra per cogliere le opportunità connesse alle prospettive dell’uranio è adesso: il ciclo secolare dell’uranio non è finito, sta solo prendendo fiato.
[1] Source: Bloomberg
[2] Source: Sprott
[3] Source: International Energy Agency
[4] Source: China Atomic Energy Authority
[5] Source: Bloomberg
[6] Source: International Energy Agency
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